Almeno non quello di quest’anno! Ho motivo di pensare che la festa del Lavoro è stata particolarmente sentita, perché il lavoro è un po’ come la salute. Ci accorgiamo quanto vale quando manca.
Salute e lavoro, specie in questo ultimo anno trascorso, sono mancati davvero a troppe persone. Chiunque tra noi abbia avuto la fortuna di non vivere questi problemi, almeno da vicino, ha avuto qualcuno colpito dal virus o dalla perdita di lavoro.
Tutti abbiamo fatto del nostro meglio
Rispettando le regole, aiutando il prossimo, facendo delle rinunce. E chi aveva ruoli diretti, dalla situazione critica è stato sottoposto ad uno stress incommensurabile. Il personale sanitario, i volontari, gli insegnati e gli addetti ai servizi essenziali, commercianti e commessi, tutti quelli in prima linea, pur con vari gradi di responsabilità. Forse, è riuscita a dimostrare una sua utilità anche la politica o meglio ancora l’amministrazione. Coi suoi errori con le sue mancanze, ha recuperato, pur non dappertutto, la sua credibilità. Senza le regole che ha imposto, ad esempio, non sapremmo come sarebbe andata. Certo un drammatico, lontanissimo (perdonerete, inappropriato) esempio lo abbiamo osservato dove, per una serie di motivi, le regole sociali e civili non sono state seguite. Lì, la pandemia ha picchiato durissimo.
Il disagio sommerso della gente di montagna
Qui, nel civile Trentino, apparentemente le cose sono andate meno peggio che altrove. Anche se la percezione è che nella generalità dei casi, il disagio, tenda a rimanere sommerso. Ho la convinzione che la gente di montagna quasi viva l’imbarazzo di mostrarsi in difficoltà. Eppure l’indigenza esiste. I suoi numeri, li riportano le istituzioni ed il volontariato che segue chi è costretto a palesarsi a causa del bisogno. Il riservo va capito.
E quale smacco peggiore del non avere un impiego. Credo derivi quasi da un senso religioso che ci pervade. Per i trentini è quasi una necessità. Siamo un popolo che non è capace di stare con le mani in mano. Lo cerchiamo, lo inseguiamo e specialmente nelle valli dove è un po’ più facile che in città. Ci avete fatto caso anche voi, no? Per quanto impegnate con quella principale, sono moltissime le persone che riempiono il proprio tempo anche con qualche attività collaterale. Che sia nel volontariato che sia ad esempio nel rapporto con la terra.
Quella stessa terra che oggi, primo maggio a primavera inoltrata, ci mostra un tripudio di gemme, di foglie e di primi fiori. Sono i colori del nostro paesaggio. Sono quelli della ripresa, sono la metafora di ciò che più stiamo aspettando.
Riprenderci la nostra vita di prima.
Accadrà. Grazie allo lo scudo di quel vaccino che l’umanità è riuscita a produrre in tempi inimmaginabili prima d’ora.
E’ il primo maggio della solidarietà, il primo maggio del pensiero rivolto a chi aspetta di poter finalmente riprendere a lavorare. Il primo maggio dove la dignità della nostra società, passa attraverso i piccolo gesti di ciascuno. Ma c’è una cosa che possiamo fare tutti noi. Un obbligo morale. Contribuire all’immunità di gregge.