In questo simpatico gioco di parole è contenuto una prospettiva che per la zootecnia trentina sa molto di agrodolce.
Sono ormai diversi gli allevatori, specialmente delle zone di montagna, che hanno optato per l’allevamento delle cosiddette razze autoctone tipiche anche dette “in estinzione”.
Per quanto riguarda i bovini in Trentino parliamo essenzialmente della razza grigio alpina e della razza rendena
Sono animali particolarmente rustici ed interessanti dal punto di vista produttivo perché adatti all’alpeggio. Osservati in quest’ottica possono nutrire grande soddisfazione, anche perché particolarmente tutelati dalla politica agricola comunitaria.
La PAC, riserva loro un piccolo aiuto supplementare. Diventa necessario poiché la tutela della biodiversità consiglia di allevare anche animali con caratteristiche produttive e performance d’allevamento inferiori alle classiche razze da latte. Quelle allevate nel fondovalle anche in Trentino sono rappresentate dalla bruna alpina, dalla pezzata rossa e dalla frisona.
Nuovi scenari, nuove preoccupazioni
E’ proprio questo l’aspetto col quale si confronta la preoccupazione del mondo allevatoriale. Alle prese con una marginalità sul prezzo del latte sempre più ridotta vede un futuro al momento assai cupo. Il rischio che quel modello così adatto alle zone ripide di montagna ad elevata altitudine venga adottato anche dalle stalle del fondovalle sta diventando concreto.
Questo potrebbe accadere perché nelle pieghe della PAC c’è la possibilità di coltivare le superfici a prato e a pascolo, allevando bestiame da riproduzione attraverso il sistema della cosiddetta “linea vacca-vitello”. In questo caso l’azienda è fuori dal circuito della produzione del latte.
Letta dal punto di vista del singolo allevatore questa scelta è del tutto legittima e non fa una piega. In via politica invece, rappresenta un autentico fallimento. Una Provincia Autonoma che arrivi ad impostare una politica agricola comunitaria finendo per subire questo modello avrebbe completamente fallito.
Gli allevatori non vanno biasimati.
Infatti, o il prezzo del latte e tutta la filiera lattiero-casearia determinano la loro soddisfazione o come alternativa alla chiusura c’è una sola strada. Si tratta del passare ad una coltivazione delle superfici prative sostenuta da un ripiano contributivo di origine Europea. E’ una condizione appena sufficiente per una montagna abitata ma assolutamente ridicolo per una comunità ricca di tradizioni produttive, capacità di gestione della biodiversità e della sostenibilità ambientale, quale è quella trentina.
Sappiamo bene che l’allarme lanciato in queste poche righe è davvero preoccupante ma l’impressione che l’attuale governo della Provincia autonoma di Trento non se ne stia davvero rendendo conto sembra piuttosto diffusa.