Che la lega di governo manifesti posizioni diverse da quelle che aveva la lega di opposizione è qualcosa che non dovrebbe sorprendere più.
Invece, attraverso la proposta di riforma delle Comunità di Valle, qualche nuova considerazione il centrodestra trentino riesce proprio ancora a strapparla. Ieri in commissione, il Consiglio delle Autonomie, (Assemblea dei sindaci della Provincia), ha stroncato i capisaldi di questa mini riforma. Certo, il loro portavoce dava l’idea, come è per lui usuale, di metterci tutta la cordialità e la diplomazia possibile a dirle le cose. Con fermezza si impegnava a cercare di non incrinare quella percezione di posizione filogovernativa che ha sempre voluto trasmettere.
Invece, i sindaci non sono certo andati per il sottile. Soprattutto nei colloqui off-line o dietro alle quinte che dir si voglia, i commenti sono stati impietosi. Doveva essere una riforma epocale invece si è assestata sulla modifica di pochi punti; contestati infine anche quelli.
Tradotto in termini pratici significa che la maggioranza trentina a trazione Salvini, finisce col dire che le Comunità di valle servono eccome. Anzi, vanno benissimo così. Giusto con un piccolo lifting per semplificare la composizione delle assemblee. Detto tra noi questo punto ci voleva proprio. Da ex sindaco non posso che trovarmi d’accordo. Ciò che è incredibile però è aver sottoposto il Trentino a 3 anni di commissario in attesa del questo mini provvedimento. Ai cittadini non cambierà nulla (e per fortuna) se tutto ciò che viene messo in campo consiste nel cambiare i componenti dell’assemblea.
Con ogni probabilità ciò è avvenuto per un motivo ben preciso. Per lungo tempo il Centrodestra trenino ha accarezzato l’idea di proporre un ribaltone. Una volta al governo ha dovuto suo malgrado prendere atto di qualcosa che prima evidentemente non conosceva bene. Il ruolo delle Comunità di valle per le periferie trentine è fondamentale.
A questo punto ha provato a proporre l’adesione alle Comunità di valle, da parte dei comuni, in forma facoltativa. Proprio come è avvenuto per le gestioni associate o le fusioni tra Comuni.
Fortunatamente sono stati gli stessi sindaci a fermare questo abominevole pensiero. In un epoca di contrazione delle risorse è soltanto nella collaborazione tra Comuni che si può trovare il modo di continuare ad amministrare con qualità.
Nel 2000 i Comuni in Trentino erano 223 dopo più di vent’anni di riforme e di fusioni più o meno gradite, oggi sono 166. Il paragone con l’Alto Adige rimane ancora impietoso lì le municipalità sono 116.
Premetto che non sono un amministratore innamorato delle fusioni o delle gestioni associate in forma obbligata. C’è da osservare però che finora sono state l’unica strada che ha permesso di garantire servizi anche in un quadro obbligato di risorse in calo. Ciò è dipeso dagli obblighi della Provincia autonoma di Trento di contrarre le risorse ai sensi della spending review nazionale. E ancora oggi le cose non stanno affatto andando meglio.
L’attuale apparente disponibilità finanziaria fa leva essenzialmente sui fondi del PNRR. Essenzialmente sono finanziamenti a specifica destinazione (opere pubbliche). Invece, la parte corrente del bilancio provinciale si trova in una condizione di stress davvero pesante. Prova ne è che nonostante le numerose promesse i problemi di personale che ancora moltissimi comuni lamentano non sono stati affatto risolti nemmeno da questa amministrazione provinciale a trazione leghista. Che dopo aver promesso di finanziare l’impossibile pare non sia riuscita a trovare il pulsante di accensione della macchina da stampa delle banconote.