Massimiliano Valerii è il direttore del Censis. L’Istituto nazionale che misura ed analizza la società italiana. Lo seguo sempre con estremo interesse perché ci offre la possibilità di formare delle opinioni sulle più spinose questioni sociali basandosi sulla lettura di tangibili dati.
Considerazioni tutte utili per cercare di decifrare una campagna elettorale che si combatte a colpi di boutade ricche di “sparate a botta sicura”.
Tutti hanno la ricetta giusta!
Meglio una flat tax o una rimodulazione del cuneo fiscale? Fino a che punto siamo in grado di detassare il lavoro? Quanto incide su questo aspetto sociale, la voracità apparentemente sempre più ineludibile dello Stato?
In campagna elettorale è facile sparare ricette. Ma con un debito pubblico sempre più alle stelle e con una serie di interventi straordinari passati divenuti oggi sempre più strutturali, è difficile pensare che nel bilancio dello Stato si liberino risorse. Quelle necessarie per effettuare le scoppiettanti riforme delle promesse elettorali. Invece, dobbiamo prendere atto della “foto” delle condizioni nelle quali versa oggi il nostro Paese.
Le imprese cercano lavoro, la disoccupazione è al 10%, ma purtroppo queste non trovano disponibilità a lavorare per loro. Come se non bastasse, è esponenziale la crescita dei lavoratori che si licenziano per cambiare aria. Alla fuga dei cervelli si aggiunge quella della manovalanza. La denatalità galoppante rischia di avere effetti devastanti nel nostro paese. Questo accade perché in Italia manca una grande promessa di benessere. Quella che costruì l’Italia del boom economico del trentennio ’60-’80. Quella che per lungo tempo instillò fiducia nell’immaginario collettivo.
Le prospettive di oggi invece sono scure. Il più recente DEF del Consiglio dei Ministri definisce una previsione di incremento del Pil nel 2022 del 3,1%, nel 2023 del 2,4, nel 2024 dell’1,8 e via a scendere. Torneremo all’Italia dello ZERO!
Sono fatti che le stesse categorie economiche fanno fatica a spiegarsi. Prendiamo ad esempio l’appello di Federturismo. Al comparto mancano quasi 400 mila lavoratori. Non si trovano gli stagionali per nessuna mansione. Eppure come abbiamo detto in Italia i disoccupati sono oltre due milioni. Come si spiega questa cosa leggendo i dati sociali? Al censimento del 1951 i giovani under 35 erano il 57% oggi sono diventati il 33%.
L’altro dato importante è quello che riguarda le retribuzioni. Il costo della vita è aumentato esponenzialmente. Ma in Italia, unica tra i paesi occidentali, negli ultimi 30 gli stipendi non solo non sono cresciuti in linea al costo della vita ma si sono ridotti del meno 3%. Nello stesso periodo in Germania questi sono aumentati del 33,7 e in Francia del 33,1%. In pratica è per questo che il lavoro è visto come un impegno a termine. Non dà nessuna promessa che lavorando di più o continuativamente potrò migliorare le mie condizioni di vita. Nel frattempo infatti, il costo della vita stessa continua ad aumentare
Il reddito di cittadinanza quanto influisce?
Ricordiamoci innanzitutto che la pandemia tra il ’20 e il ’21 ha determinato un milione di nuovi poveri in più rispetto al 2019. Il problema è che il sussidio del reddito di cittadinanza, che dovrebbe diventare uno stimolo per cercare occupazione, presenta un differenziale con retribuzioni medie che praticamente non c’è. Perchè dovrei abbandonarlo per cercare lavoro?
Il calo dei consumi
Nonostante lo scorso anno ci sia stato un rimbalzo del PIL del 6,6% i consumi non hanno seguito la stessa curva. E questo perché le scarse prospettive di sviluppo unite alla preoccupazione fanno sì che a non spendere i soldi siano entrambe le categorie: sia quelli che li hanno, sia quelli che non li hanno. Di conseguenza i depositi bancari continuano ad aumentare.
Il calo della natalità.
Questa sfiducia collettiva colpisce anche la voglia di natalità che va di pari passo con un invecchiamento demografico. Evidentemente manca qualche ingranaggio al meccanismo di sostegno alla genitorialità e alla conciliazione famiglia lavoro così che spesso le donne devono scegliere tra i figli o la carriera. L’occupazione femminile della Svezia è al 81% quella della Germania è al 75%, quella dell’Italia è al 57%. E da noi, lo stipendio medio delle donne è di un quarto inferiore a quello medio degli uomini.
In campagna elettorale c’è chi la fa semplice, chi grida e pure chi nicchia. Ma le soluzioni, chi andrà al governo dovrà pur trovarle. Con quale ricetta magica?