Quante gliene abbiamo combinate al nostro territorio montano? Una volta non ci facevo caso. Un po’ per poca esperienza un po’ per cultura, quello che vedevo intorno a me, costruito dall’uomo, mi passava addosso. Anzi, spesso lo osservavo con ammirazione. Pensavo alla fatica di chi l’aveva costruito.
Ma il tempo che passa addosso lascia esperienza e saggezza (sempre troppo poca).
Ha influito il lavoro in politica, il contatto con tante opinioni ma soprattutto con le tante forme diverse di cultura.
E’ così, l’esperienza di questi anni mi ha profondamente cambiato. Ma nessun timore, mi raccomando, le posizioni da integralista non fanno per me. Tuttavia, le premesse di sopra formano quella giusta dose di coscienza critica che permette di ascoltare e meditare riguardo a quello che accade. Così quando sento qualche amministratore provinciale parlare di sostenibilità mi vien sempre più spesso da chiedermi se davvero crede alle cose che sta dicendo. Prendete le “battaglie” della Giunta Provinciale di questo periodo.
Che ragionamento può starci dietro ad una Valdastico tutta viadotti e gallerie nelle Valli del Leno? E a Pinè, come si contestualizza la presenza di uno stadio del Ghiaccio da “50eppassa” milioni di euro con territorio e la sua ricettività in obiettiva pesante difficoltà? Ma non sta nemmeno in piedi che si siano sacrificati 30 ettari del miglior terreno agricolo a Trento. Avevamo bisogno di un’arena di canto? E’ quel turismo lì che andiamo cercando? Non vorrei però, soffermarmi troppo su queste critiche puntuali. Le ho portate solo come esempio.
Ogni amministratore, specialmente provinciale che si occupa di sviluppo economico, dovrebbe cominciare ad associare ad ogni propria proposta di progettazione e di sviluppo, un pensiero rivolto alla sostenibilità. Ponendosi una semplice domanda: “ciò che io promuovo potrà davvero trasformarsi in qualcosa per sempre e per tutti?”
Sono riflessioni che mi hanno sfiorato in una passeggiata di ieri. Mi sono recato nella zona del Cornisello. Il territorio è curato, segnalato e ben gestito dall’ente Parco e dall’amore degli abitanti per la loro valle. La zona però pur selvaggia e scoscesa porta parecchie cicatrici di attività economiche del passato. Fu sicuramente benessere. E dovrà esserlo ancora. Ma se allora non ci fu una mentalità accorta ed attenta al ripristino di quanti modificarono, oggi questo tipo di atteggiamento progettuale e sociale è imprescindibile.
A QUESTO LINK troverete informazioni relative alla teleferica fantasma della Val Nambrone accennata nel titolo. Con la sua simbolica esistenza, è lì a ricordarci di ricordare! Ormai si tratta di archeologia industriale, comunque in piedi in uno dei luoghi più belli del Trentino. L’immagine del Lago Nero, da Assessore al Turismo, me la sono portata in giro per tutto il mondo!
Da che mi è parso di capire dalle informazioni in mio possesso, la storia parte all’inizio degli anni sessanta, in pieno boom economico. Tutta questa zona di laghi e laghetti doveva subire profondi cambiamenti con la costruzione di una centrale idroelettrica. Sarebbe stata alimentata da una grande diga alta 110 metri e lunga più di 300 in corrispondenza del lago inferiore. Ancora oggi si può vedere sulla roccia una linea che identificava l’ andamento di questo sbarramento. Vennero fatti numerosi interventi di sondaggio e controllo di cui si vedono ancora le tracce.
Il progetto venne bloccato per la grande opposizione della popolazione e degli ambientalisti nel 1968. Numerose sono le memorie di questo progetto, in particolare le stazioni della teleferica che avrebbe dovuto portare il cemento fino a dove oggi c’è il rifugio Cornisello attualmente in ristrutturazione.
Lo racconto ai nostri figli, lo raccomando a me stesso e quelli che dovranno prima progettare e poi vivere in una terra profondamente modificata dalla nostra invadente presenza.