La questione giace esanime sul tavolo della Giunta provinciale ormai da qualche lustro. Se ne sono occupati appassionati, figure istituzionali e politiche di qualsiasi ordine e grado. Eppure ad ogni stagione invernale il problema riemerge con tutta la sua forza.
In estrema sintesi riguarda la richiesta che si alza da coloro che praticano lo scialpinismo. Per l’esercizio della loro attività, chiedono di poter disporre, almeno parzialmente, della possibilità di utilizzare le piste da discesa anche fuori dall’orario di apertura. Una condizione normativamente impossibile. Al momento della chiusura degli impianti di risalita, queste infatti si trasformano in un cantiere e pertanto risultano interdette ai non addetti ai lavori.
Da qui la perentorietà alla quale si appellano i gestori per inibire l’accesso alle aree da loro gestite. Luoghi dove si muovono macchine operatrici spesso in condizioni di scarsa visibilità, che metterebbero a repentaglio la vita degli sciatori. Fine della questione
Eppure complice il cambiamento climatico e le abitudini delle persone, lo scialpinismo sta prendendo sempre più piede ed è abbracciato da una fetta di popolazione che non può venire ignorata. Le “pelli di foca” sono sempre più diffuse, patrimonio ed uso di platea sempre più vasta di pubblico. Non più dunque un manipolo di sfegatati dal fisico d’acciaio, ma sempre più appassionati che si confrontano con la natura invernale affrontando le salite senza l’ausilio della trazione a fune.
Un paio di proposte tra le tante possibili.
Una prima soluzione, sicuramente tra le più gettonate, sarebbe quella di poter utilizzare anche le piste da discesa, specialmente fuori orario di apertura. In tal caso, al netto degli impedimenti definiti sopra, l’unica strada possibile sarebbe quella di un accordo tra impiantisti e appassionati. Il mediatore di questa operazione non potrebbe essere che la Provincia. Ente che per sua natura è più vicino agli impiantisti e per tanto quello che più dagli stessi può pretendere attenzione.
L’accordo potrebbe concretizzarsi nell’utilizzo di alcune piste in determinati orari e in specifiche giornate. In tal caso, la battitura delle discese potrebbe essere programmata in maniera da non interferire con l’utilizzo delle stesse da parte degli sci alpinisti.
Il disagio nell’alterazione dei programmi di battitura e fresatura della neve potrebbe essere almeno in parte bilanciato dal pagamento di una sorta di skipass dedicato.
Una seconda opzione possibile, certo più onerosa e più complicata da gestire, potrebbe però diventare una soluzione stabile specialmente nelle zone non servite dagli impianti. Esistono già tracciati codificati e conosciuti più per passaparola o per iniziativa spontanea di qualche Ente locale. Ecco, questi tipi di asset andrebbero particolarmente sviluppati attrezzandoli come prodotto ad hoc.
Si tenga conto che negli anni molte vallate sono rimaste escluse dallo sviluppo di impianti di risalita. Ma oggi questo loro “mancato sviluppo” potrebbe trasformarsi in ghiotta opportunità.
Tutto il Lagorai – ad esempio – si presta perfettamente a questa modalità di valorizzazione e ciò che un tempo fu abbandono, è oggi invece enorme valore. Quello naturalistico e ambientale costituisce infatti un patrimonio immenso. Del suo peso stanno acquisendo consapevolezza non più soltanto uno stretto manipolo di appassionati ma intere categorie, quelle economiche comprese.
Le valli turistiche più attrezzate forti di un indotto economico elevato potrebbero spingere politicamente a far sì che parte delle risorse a loro destinate vengano implementate. Si dovrebbero infatti finanziare o corroborare interventi già in essere per una leggerissima infrastrutturazione territoriale. Si potrebbe procedere individuando percorsi sul territorio originali e dedicati, evitando il più possibile la necessità di utilizzare le piste da discesa. Se non in minima porzione, se non in maniera più che concordata. Un po’ per intenderci come sta accadendo per il “Gravity” nella bicicletta. Questo tipo di discese utilizzano il sedime delle piste da sci in termini assolutamente marginali.
Pensiamo ad esempio alla Rendena o alla Val di Sole. Valli già ricche di iniziative, fondi disponibili ed esperienza. Il tutto poi potrebbe costituire prodotto innovativo per valorizzare situazioni di transizione. Ma anche il caso della Panarotta è assolutamente emblematico. Lì, si potrebbe mantenere una parte degli impianti esistenti ed una parte dedicarla proprio a questo tipo di attività sportiva all’aperto.
Come ogni buona idea, per farla viaggiare è necessario un paio di gambe e anche un piccolo portafoglio. E’ necessaria una regia provinciale, foriera di adeguati programmi e finanziamenti.
ASAT, l’associazione albergatori della Provincia, ebbe già modo di proporre che nella riforma del sistema di promozione turismo, sin dal suo momento di presentazione fossero istituiti degli enti intermedi di promozione, posti tra il livello provinciale e quello locale denominati ATA, che tenessero conto non dei confini geografici, quanto piuttosto del tipo di prodotto promosso.
In questa variazione di bilancio si modifica la norma alterando la ragione di finanziamento delle ATA. Ed in effetti ASAT risponde convinta che l’operazione stimolerà la nascita di nuovi prodotti. Ci piacerebbe che uno di questi fosse la codifica di luoghi e tempi dove praticare lo scialpinismo. Secondo le idee immaginate sopra, affiancate se ci sono, anche da altre soluzioni.
I tempi per dare lo spazio che merita questa specialità ora anche olimpica, sono ormai più che maturi.