Aderii al Partito Autonomista nel 2008. Avevo chiesto il permesso di candidare tra le sue fila perché era il movimento che più rispondeva al mio modo di intendere la politica. E almeno fino ad ora è stato così. Ieri però, il mio telefono ha squillato più del solito. Tante notifiche, qualche telefonata, moltissimo calore. Chiedevano lumi, incitavano a proseguire. A prescindere. Erano gli amici curiosi, incappati in una notizia offerta dalla stampa locale. Basata ve lo posso confermare, su congetture e testimonianze raccolte senza nessun confronto col sottoscritto.
Intendiamoci l’articolo non mi ha minimamente turbato. La scorza l’ho maturata in un ventennio abbondante di carriera da amministratore pubblico. Dunque non mi sconvolge l’incappare nella lettura di un pensiero a me attribuito senza che io sia stato interpellato.
Eppure qualche considerazione l’avrei fornita volentieri. Eccola qui.
Dunque no, non ho nessuna intenzione di abbandonare il mio amato partito. Almeno fino a quando questo vorrà ospitarmi insieme al diligente completamento del processo democratico interno avviato col Congresso dello scorso aprile.
Gli aspetti di incompatibilità ideologica si manifesterebbero soltanto se alla fine del percorso partitico partecipativo, il PATT decidesse di aderire a forze che compongono l’attuale maggioranza.
E’ anche il motivo per il quale, in questa tornata nazionale, considero assolutamente inopportuna un’alleanza con un partito, che è colonna portante della lega al governo del Trentino. Eppure la mia coerenza mi spinge comunque ad un chiaro indirizzo.
Sosterrò e chiederò di sostenere il PATT, alleato con la SVP altoatesina.
Sono convinto che dopo il 25 settembre, le due componenti autonomiste, una più identitaria, l’altra più progressita e sociale, sapranno trovare una sintesi. La scommessa è quella di riuscire a “incollare” le due anime del partito. L’impresa è particolarmente ardua perché andranno trattenute in un unico movimento politico, il maggior numero di persone possibile.
Con un discrimine crudo.
Da sempre in politica si parte da chi ha i voti. Rappresentano la misura del lavoro fatto. Sono altresì il metro di riconoscimento dei sostenitori. È grazie a loro che un partito vive. E qualche volta la politica si dimentica di ascoltarli.