Dopo la sfuriata mediatica della scorsa estate la politica si è nuovamente dimenticata del settore lattiero caseario.
Questo accade quando chi si occupa delle questioni lo fa in maniera estemporanea seguendo gli allarmi del momento ma senza davvero essere legato agli operatori di settore. E così mentre a luglio, in Aula alcuni consiglieri di maggioranza si battevano a suon di emendamenti milionari da dedicare al settore, nel frattempo fuori chiudevano una decina di stalle.
Adesso son passati alcuni mesi e di soldi promessi ne sono arrivati davvero pochi. Dei costi alle stelle in zootecnia, questa maggioranza di governo provinciale non ne parla più. Neppure gli aggravi economici sono stati contrastati in maniera adeguata dai risicati ristori provinciali. E infatti i bilanci dei consorzi cooperativi e di conseguenza delle relative aziende bovinicole, tornano a destare preoccupazione. Complice anche la riduzione dei cd “contributi settoriali” da parte della Provincia e l’aumento spropositato dei costi. Insomma, nei prossimi mesi rischiamo di assistere a ulteriori incresciose chiusure di stalle e caseifici. Strutture quest’ultime che non navigano di certo in buone acque. Pare siano quattro ma forse anche cinque i Caseifici Sociali che nei prossimi mesi potrebbero definitivamente abbassare la serranda. In comune hanno il fatto di trovarsi tutti in Val di Non e di aderire al consorzio di secondo livello Concast.
Gli interessati ne parlano poco e pure malvolentieri. C’è da capirli. D’altro canto una voce forte da parte degli allevatori, se c’è stata, non è certo passata dalle piazze. Anzi. In Piazza Dante molto probabilmente sono arrivati più che altro sussurri di corridoio. È il prezzo che pagano gli allevatori ad avere dei loro rappresentanti coordinatori particolarmente allineati (come da tradizione) con la politica governativa. In passato poteva non essere un problema. Finché le cose andavano bene poteva altrettanto andar bene questo metodo. Oggi però trovo quanto mai necessario che qualcuno alzi la mano e confermi ai trentini che in effetti l’inarrestabile crisi della loro zootecnia sta per affrontare un ulteriore drammatico passaggio.
Ricette magiche non ce ne sono.
Di sicuro la Provincia dovrebbe incentivare, con forme di sostegno ad hoc, il passaggio alla sostenibilità energetica degli stabilimenti lattiero caseario. Almeno quelli più grandi. Lo aveva promesso, non ha fatto nulla e sarebbe la prima cosa da sbloccare. Alla fine della legislatura dopo aver tanto parlato chissà che finalmente non si riesca ad uscire dall’ordinario e alla zootecnia si riservino quegli investimenti straordinari dei quali ha particolarmente bisogno.
Nemmeno il sistema di funzionamento del Consorzio di secondo livello può chiamarsi fuori dal bisogno di evoluzione. Potrebbe cominciare dal suo approccio alla gestione della stagionatura e della commercializzazione del prodotto caseario più quotato: per intenderci il Trentingrana. Dal basso, dai soci, arrivano richieste di incentivare la qualità del prodotto. Andrebbero distinte le classi qualitative post battitura per avere la possibilità di una corresponsione economica, funzione anche del merito qualitativo di ogni singolo caseificio.
Infine lo ripetiamo da cinque anni: cancellare manifestazioni come “latte in festa” e ridurre l’investimento anziché attivare pesanti campagne di marketing riferito al prodotto lattiero caseario locale, altro non sono state che ulteriori batoste che si sono abbattute sul settore. Se sommiamo i mancati aiuti all’aumento dei costi delle materie prime, ben comprendiamo perché la riduzione del numero delle partite IVA che si dedicano alla bovinicoltura in Trentino, non trova soltanto ragioni sociologiche ma piuttosto, mi sento di dire, gravi responsabilità politiche.