Michele Dallapiccola
Anche il mese di febbraio per Casa Autonomia.eu, si è concluso in sold-out con più di 400 persone incontrate nei vari incontri organizzati.
Lo abbiamo fatto sia direttamente che collaborando con Campo Base o con le persone interessate alle questioni locali.
Gli incontri hanno riguardato argomenti del momento, come è stato a Pergine per la Panarotta o questioni sociali, economiche e demografiche. Soprattutto in relazione alle loro ripercussioni sul bilancio provinciale attuale e futuro.
Solitamente, le presentiamo aiutati dalla proiezione di slides, foto e grafici. Aiutano l’attenzione e rendono più leggere le serate. Coinvolgiamo sempre qualche giovane o qualche esperto per cercare di dare più spazio possibile alla società civile a fianco della politica.
I prossimi appuntamenti?
Per ora sono:
- – lunedì 6 marzo a Tione, dove si terrà un focus sui rapporti citta-valli in relazione all’istruzione
- – venerdì 10 marzo ad Imer
- – lunedì 14 marzo a Castel Tesino ospiteranno il nostro solito format. Qui in collaborazione con Campobase.
Accompagnati sì insomma ma pur sempre in AUTONOMIA. Il perché lo avrete capito dal gioco di parole. Noi siamo dove siamo sempre stati. Coerenti e leali a quella parte di Comunità trentina che all’Autogoverno non vuole rinunciare.
La nostra precisa volontà è quella di costruire proposte politiche per il nostro Trentino, alternative a quelle dello statalismo e del nazionalismo di Lega e FdI.
E rivela ogni cosa. In questo caso, su cosa ci fosse da sistemare davvero nel sistema turismo trentino. Questa breve riflessione a seguire, parte dalla presentazione dei dati positivi delle APT di Rovereto Vallagarina e Val di Non presentati alla stampa proprio in questi giorni. Ma partiamo da un altro dato di fatto.
Questa giunta provinciale forte di un dicastero nelle mani di un addetto ai lavori poteva davvero fare la differenza. Invece, l’inizio di mandato se l’è giocato con quello che a nostro avviso era l’ultimo dei problemi. E’ partita dalla riforma del sistema della promozione locale con l’imposizione di fusioni e accorpamenti che avrebbero dovuto stravolgere l’organizzazione turistica. Oggi, a ben vedere di stravolgente e innovativo c’è stato assai poco.
Prendiamo gli interventi per spingere sulla tanto agognata destagionalizzazione. Per trovare da quando è stata introdotta la promozione della primavera e dell’autunno in chiave turistica chiamandola “delle belle stagioni” dobbiamo andare indietro al 2017. Quando parliamo dello strumento di ricognizione dei dati sulla remuneratività per le imprese turistiche che è H-Benchmark bisogna andare a vedere ancor prima. E la rivoluzione digitale? E’ del 2016; e quella nuova? Della Guest Platform e dei suoi rivoluzionari benefici ci sta forse sfuggendo qualcosa. E che dire della tassa di soggiorno? Contestatissima dalla lega di opposizione, aumentatissima dalla lega di governo.
Così a rappresentare l’unica vera novità rimane l’introduzione di una nuova governance della Società di Sistema della Promozione turistica dove si son fatte entrare le associazioni di categoria. Il risultato? Ricordiamo tutti il compianto Luca Libardi: fu voce critica e costruttiva verso il sistema. Le sue sì, che erano parole di magistrale stimolo e pungolo a far meglio, con competenza ma soprattutto con opportuna indipendenza rispetto alla politica.
Alla fine, comunque è passato tutto in sordina perché la tragedia innanzitutto umana del Covid ha fatto dimenticare molte cose. Forse anche quella che a compensare il default finanziario provocato dalla Pandemia ci ha pensato lo Stato coi soldi dell’Europa. Diversamente da come tenta di promuovere la Provincia che invece ha investito cifre in tutto e per tutto in linea con quelle delle legislature precedenti mentre i suoi roboanti comunicati non si son certo fermati lì.
Emblematico è come siano andate le cose nel riparto dei ristori sul comparto funiviario. Il settore nel quale è confluita una parte consistente dei fondi, per la sua trattativa con lo Stato, ha fatto a meno della politica provinciale. Quella che nel frattempo era impegnata sui social a suon di selfie e comunicati stampa.
In tutto questo bailamme le Apt, interessate fin da subito dalla riforma, hanno giocato alla “si salvi chi può”. La più coraggiosa tra loro è stata quella della Vallagarina che ha voluto rimanere indipendente fin dall’inizio. Ha resistito allo scherno del governo provinciale che in Consiglio ne pronosticava vita breve con un default già in partenza. Invece, dati alla mano l’APT gira, e molto bene, anche.
Ne ha seguito l’esempio, a onor del vero al fumo delle candele, anche l’APT della val di Non. Sono state le imprese del settore più coraggiose a spingere la Direzione prendere in mano il proprio destino quando questa, da buon pesce in barile, attendeva l’evolversi degli eventi. Anche in questo caso però, i risultati danno ragione a chi ha scelto di continuare nel proprio impegno di promozione locale in maniera mirata ed indipendente. Nel caso di fattispecie, da una più che proattiva val di Sole.
E così, alla fine, il tanto stravolgete accorpamento ha riguardato soltanto qualche consorzio e qualche APT in difficoltà. E dal punto di vista sostanziale per le imprese coinvolte è cambiato gran poco. Per sentire gli umori basta farsi un giro di qualche impresa turistica a Storo o a Comano senza scomodare Pinè.
Quanto raccontato qui sopra sarebbe assolutamente normale ed accettabile non fosse continuamente enfatizzato dall’attuale giunta provinciale. Al limite del parossismo, manifesta ancor oggi, a cinque anni dall’insediamento, un continuo desiderio di confronto col passato. Enuncia risultati travolgenti specie in confronto al passato quando di stravolgente c’è stato ben altro.
Covid, aumento delle spese e del costo della vita, carenza di personale, ricambio generazionale scarso o assente e accesso al credito utile soltanto a chi credito né già ha di suo, lasciando in braghe di tela chi invece non ne ha.
I problemi del settore, quelli gravi, sono ancora lì. Semplicemente perché risolverli è davvero molto molto difficile. Si badi bene dunque che questo pensiero non vuole attribuire colpe – particolari – a nessuno in particolare. Certo non si avverte che il settore, nonostante i numeri, viva una stagione splendida, libera da pensieri e tutta propensa ad incensare di meriti una gestione politica che a giudizio di molti è stata del tutto ordinaria. (Fine della legislatura)
La genesi di quello che per i pescatori trentini è un vero e proprio FARIO-GATE è tutta a monte, ne abbiamo già parlato.
Esiste un ingrato provvedimento nazionale che vieta l’immissione in natura di specie non autoctone. E fin qui ci siamo, la cosa è assolutamente comprensibile. Il problema è che l’approccio all’elenco di specie ammesse o escluse ha riguardato una data scelta in maniera del tutto arbitrale: praticamente, la scoperta dell’America.
Nel frullatore dei divieti è finita così anche la trota fario. Si tratta di un delizioso pesce che viene utilizzato dai nostri pescatori per ripopolare i corsi d’acqua del Trentino. La storia trova tracce della sua presenza fino al 1500 e così per pochi anni – e per ironia della sorte – la fario ha perso il diritto ad essere riseminata.
La notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno ormai quasi due anni fa. Ma oltre ai danni procurati alle varie associazioni di pesca, oggi arriva anche la beffa. A livello nazionale infatti, la questione normativa è stata momentaneamente risolta. E’ di questi giorni l’approvazione della carta ittica della Regione Veneto che riporta la deroga di semina del prezioso salmonide. Se qualcuno è mosso dal desiderio di leggerla in forma estesa trova tutta la documentazione a questo link NUOVA CARTA ITTICA REGIONE VENETO: ZONA A e B
Qui sotto invece nell’immagine si legge l’estratto della tabella ripreso nel punto di interesse specifico.
Come consiglieri di minoranza abbiamo sollecitato a più riprese l’amministrazione provinciale a dare risposte in merito ma la questione rimane ancora in sospeso. E quindi per ora il match Zaia vs Fugatti finirà 1 a 0. Il primo senza autonomia ha trovato il modo di liberare comunque le trote fario, il secondo, con l’Autonomia invece, semplicemente no.
I guai non vengono mai da soli.
Specie quando si amministra la cosa pubblica: nell’ambito della sanità pubblica veterinaria, con il pericolo “aviaria” che incombe e con la peste suina africana sui cinghiali. Siamo di fronte ad un’autentica emergenza casa su ITEA, o davanti ad un’ingestibile epidemia di bostrico post Vaia sul sistema foreste. C’è poi una zootecnia schiacciata dalla crisi dei costi, che aggrava la dilagante chiusura di stalle. La proliferazione incontrollata dei grandi carnivori per una zootecnia afflitta, come se non bastasse, da una probabile riduzione di valore dei Titoli PAC. In viticoltura la flavescenza prospera ed ora arriva l’allarme scopazzi (anche) in val di Non. E chissà che finalmente questo svegli l’attenzione al problema diffuso in tutto il Trentino
Insomma sono tali e tante le emergenze che il competente dicastero provinciale deve affrontare che c’è da pensare che chi si trova gravato da tutte queste responsabilità si trovi a trascorrere qualche bella notte insonne. E qui parlo per esperienza.
Per questo le lanciamo un messaggio di solidarietà e un’esortazione ad avere coraggio. Ma chiediamo anche alla giunta provinciale se non ritenga il caso di intervenire in aiuto alle numerose situazioni critiche irrisolte che un’assessora da sola, si trova a dover affrontare.
Sono forse diventati tutti egoisti? Quante volte lo abbiamo sentito dire.
Invece è più sbagliato che riduttivo attribuire le cause della natalità a un solo fattore, figuriamoci solo ai giovani. Entro il 2050 nel nostro paese ci saranno cinque milioni di persone in meno. E purtroppo, proporzionalmente sarà così anche in Trentino.
Anche da noi, la popolazione sempre più vecchia determinerà costi crescenti. Pensioni, sanità, servizi assistenziali non riusciranno a essere finanziati con le tasse pagate dai sempre meno nuovi lavoratori. Parallelamente assistiamo ad un preoccupante fenomeno.
Coi nuovi talenti che scappano all’estero, le nuove generazioni potrebbero contare su sempre meno persone in grado di portare avanti la nostra società. Del resto, molti giovani che si trovano in condizioni economiche difficili e a far figli sono obbligati a pensarci bene.
Ad affliggere è innanzitutto il precariato. Secondo Eures in Italia la disoccupazione media degli under 35 è al 22,1%, mentre quella nell’Unione Europea è del 15,1. Non manca la tristezza di vedersi riconosciuto uno stipendio troppo basso. Il 43% dei giovani under 35 guadagna meno di €1000 al mese. Nello stesso intervallo di tempo, le spese di un figlio possono raggiungere gli 800 euro.
A collocarsi in un livello sempre più basso rispetto alle generazioni precedenti, c’è un potere d’acquisto sempre più risicato.
Se poi vogliamo aggiungere la mancanza di servizi adeguati o a prezzo adeguato come quello degli asili nido. Infine il gap salariale tra uomini e donne: si aggiunge al fatto che il peso della genitorialità ricade ancora troppo eccessivamente sulle donne.
Una sintesi, anche riduttiva di tanti altri aspetti secondari ma non per questo minori delineano un quadro complicatissimo. Una cosa però si chiarisce. Riguardo alla denatalità, per le cose raccontate sopra sono i meno responsabili.
Per cercare di capirlo ci vengono in aiuto delle recenti pubblicazioni OCSE.
Come noto ai più, si tratta dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, un organismo internazionale che attualmente conta ben 36 paesi membri e che ha il compito di cercare di confrontare problemi comuni per valutare identificazione di cause ed eventuali possibili soluzioni. Ha sede a Parigi.
Il suo report dunque è estremamente autorevole. Certifica che ogni anno, un lavoratore italiano guadagna in media quindici mila euro in meno di un lavoratore tedesco e quasi diecimila euro in meno di uno francese. Rispetto agli americani poi siamo addirittura alla metà.
E così questi pochi soldi che ci arrivano in tasca sembrano proprio non bastare più.
Innanzitutto va considerato che il più recente dei problemi, quello relativo all’inflazione, non arriva da solo. In generale l’economia italiana è ferma al palo da vent’anni. Poca innovazione e poca propensione all’export. In questo senso il problema sul Trentino risulta soltanto mitigato dal forte traino del sistema sociale e del comparto del turismo.
Anche da noi le cose non vanno affatto bene, complice un costo della vita generalmente più alto rispetto ad altre latitudini italiane.
Nel report OCSE della tabella qui sotto, il fatto più interessante da osservare è l’andamento della curva italiana che traccia l’andamento del PIL pro capite. In costante aumento dal ’70 al 2000 stagnante o addirittura in discesa dal 2000 ad oggi.
Andrea Garnero economista in OCSE sostiene che il rallentamento della crescita italiana è legato alla scarsa meritocrazia e all’inefficienza del settore pubblico. C’è poi un grave problema relativo alla valorizzazione dell’istruzione. I giovani under 30 hanno una retribuzione più bassa dei lavoratori over 50.
Di questo treno in frenata che è l’economia italiana, il Trentino non è che un vagone. Agganciato a tutti gli altri vagoni delle regioni italiane procede alla stessa inevitabile velocità. Alla faccia dell’Autonomia, lo dicono i dati.
Nonostante questa destra locale e nazionale cerchino in continuazione di trovare un capro espiatorio. Va oggi di gran moda attribuire la responsabilità del basso salario al cosiddetto cuneo fiscale e cioè alla differenza tra quanto l’azienda spende per il dipendente e quanto questo riceva davvero in termini di stipendio. Un’analisi accurata ci racconta però che ci sono esempi come quello tedesco dove la retribuzione è molto più alta di quella italiana nonostante sia più alto anche il relativo cuneo fiscale.
La vera differenza la potrebbero determinare politiche fiscali e del lavoro particolarmente stressanti le peculiarità dell’Autonomia trentina. Senza contare che nel campo della ricerca e dello sviluppo siamo finiti fanalini di coda tra le regioni europee. Dove grazie ai nostri istituti di ricerca locali avremmo potuto eccellere. Invece, uno di loro – tanto per dire – l’altro giorno dava luce agli esiti di un importante percorso di ricerca. Andava subito al nocciolo dell’essenza stessa della vita: la Felicità. Ha svelato che per averla basta mangiare crauti. QUI LA TROVATA.
Dopo la sfuriata mediatica della scorsa estate la politica si è nuovamente dimenticata del settore lattiero caseario.
Questo accade quando chi si occupa delle questioni lo fa in maniera estemporanea seguendo gli allarmi del momento ma senza davvero essere legato agli operatori di settore. E così mentre a luglio, in Aula alcuni consiglieri di maggioranza si battevano a suon di emendamenti milionari da dedicare al settore, nel frattempo fuori chiudevano una decina di stalle.
Adesso son passati alcuni mesi e di soldi promessi ne sono arrivati davvero pochi. Dei costi alle stelle in zootecnia, questa maggioranza di governo provinciale non ne parla più. Neppure gli aggravi economici sono stati contrastati in maniera adeguata dai risicati ristori provinciali. E infatti i bilanci dei consorzi cooperativi e di conseguenza delle relative aziende bovinicole, tornano a destare preoccupazione. Complice anche la riduzione dei cd “contributi settoriali” da parte della Provincia e l’aumento spropositato dei costi. Insomma, nei prossimi mesi rischiamo di assistere a ulteriori incresciose chiusure di stalle e caseifici. Strutture quest’ultime che non navigano di certo in buone acque. Pare siano quattro ma forse anche cinque i Caseifici Sociali che nei prossimi mesi potrebbero definitivamente abbassare la serranda. In comune hanno il fatto di trovarsi tutti in Val di Non e di aderire al consorzio di secondo livello Concast.
Gli interessati ne parlano poco e pure malvolentieri. C’è da capirli. D’altro canto una voce forte da parte degli allevatori, se c’è stata, non è certo passata dalle piazze. Anzi. In Piazza Dante molto probabilmente sono arrivati più che altro sussurri di corridoio. È il prezzo che pagano gli allevatori ad avere dei loro rappresentanti coordinatori particolarmente allineati (come da tradizione) con la politica governativa. In passato poteva non essere un problema. Finché le cose andavano bene poteva altrettanto andar bene questo metodo. Oggi però trovo quanto mai necessario che qualcuno alzi la mano e confermi ai trentini che in effetti l’inarrestabile crisi della loro zootecnia sta per affrontare un ulteriore drammatico passaggio.
Ricette magiche non ce ne sono.
Di sicuro la Provincia dovrebbe incentivare, con forme di sostegno ad hoc, il passaggio alla sostenibilità energetica degli stabilimenti lattiero caseario. Almeno quelli più grandi. Lo aveva promesso, non ha fatto nulla e sarebbe la prima cosa da sbloccare. Alla fine della legislatura dopo aver tanto parlato chissà che finalmente non si riesca ad uscire dall’ordinario e alla zootecnia si riservino quegli investimenti straordinari dei quali ha particolarmente bisogno.
Nemmeno il sistema di funzionamento del Consorzio di secondo livello può chiamarsi fuori dal bisogno di evoluzione. Potrebbe cominciare dal suo approccio alla gestione della stagionatura e della commercializzazione del prodotto caseario più quotato: per intenderci il Trentingrana. Dal basso, dai soci, arrivano richieste di incentivare la qualità del prodotto. Andrebbero distinte le classi qualitative post battitura per avere la possibilità di una corresponsione economica, funzione anche del merito qualitativo di ogni singolo caseificio.
Infine lo ripetiamo da cinque anni: cancellare manifestazioni come “latte in festa” e ridurre l’investimento anziché attivare pesanti campagne di marketing riferito al prodotto lattiero caseario locale, altro non sono state che ulteriori batoste che si sono abbattute sul settore. Se sommiamo i mancati aiuti all’aumento dei costi delle materie prime, ben comprendiamo perché la riduzione del numero delle partite IVA che si dedicano alla bovinicoltura in Trentino, non trova soltanto ragioni sociologiche ma piuttosto, mi sento di dire, gravi responsabilità politiche.
Sto scherzando! Ovviamente, ma in questi giorni, in queste ore, l’assenza di precipitazioni fa davvero impressione. Non so a voi ma a me mette paura.
Dal suo blog sui social, Giacomo Poletti, appassionato esperto meteorologo ci mette spesso in guardia con dati impressionanti. Il brano qui sotto viene da un suo post di qualche giorno fa:
Secco a oltranza! I modelli non danno speranze: nessuna pioggia di sicuro fino a lunedì 20, ma crescono le possibilità che l’intero febbraio chiuda a zero millimetri. È mite in quota: Paganella (2125 m) a +2.8° alle dieci di sera. Rivedremo delle nuvole alte da giovedì in poi con zero termico a 2700 m.
Siamo dentro un’alta pressione fortissima: stamattina in Trentino abbiamo toccato i 1041 hPa (valore ridotto al livello del mare) che in quel momento era il valore più alto…al mondo!
La crisi idrica è ormai biennale: a Trento (Laste) dal 14 febbraio 2021 ad oggi sono caduti 1547.6 mm rispetto ai 1873.2 mm della media attesa: l’82.6%. Nell’ultimo anno (14 febbraio 2022-oggi) ancora peggio, caduti 751.2 mm invece dei 936.6 medi attesi: l’80,2%. Sul sud/est Trentino però il deficit è più pesante e vede solo il 65% dell’acqua caduta!
Al tempo non si comanda ma a quello che in terra manda il cielo però si.
Grazie alle nuove tecnologie possiamo davvero curare al meglio il bene più prezioso che abbiamo. L’essenza della vita stessa: l’acqua.
Ampliare la rete dei bacini di accumulo sarà nei prossimi anni un atto sempre più necessario. E più che ad uso industriale come per l’innevamento programmato faccio riferimento a valorizzazioni sostanziali come quella agricola e potabile. Sulle quali, sarà fondamentale innestare una rete, fatta di interconnessioni tra zone e bacini per potersi soccorrere vicendevolmente.
Il rischio è altrimenti di spingere sempre sugli stessi luoghi generando disparità di consumi, di trattamento e di assetto ecosistemico. Vedi l’annosa vicenda laghi di Serraia – Piazze – Val di Cembra. (nella foto di copertina le condizioni nelle quali versa il lago delle Piazze in queste giornate)
Per questo un serio programma di governo non potrà prescindere dal contemplare nel suo articolato, un piano di investimenti in queste infrastrutture. E un altrettanto progetto di valorizzazione e di reciproco rispetto tra le varie zone.
Non si tratta di fare un semplice compitino al fine di poter dichiarare d’aver ottemperato alla norma europea sul rispetto del DeflussoMinimoVitale. È qualcosa di più profondo, responsabile e pregno di competenza. E di investimenti.
PNRR: il Trentino doveva proporre di più
Siamo stati assai critici sulle occasioni mancate dalla Provincia per quanto riguarda i tavoli romani dove si è discusso dei finanziamenti del PNRR in campo irriguo. E così, alla nostra Provincia è arrivato davvero poco. Ed ora si fa fatica ad intravedere una precisa volontà di questo governo di stressare il proprio bilancio provinciale per queste opere. E se ne comprendono (ma non approvano) le ragioni. Sono opere che costano molta fatica ed ingenti investimenti ma di consenso spiccio ne danno assai poco.
Organizzare le azioni amministrative è un duro lavoro che offre poco lustro sui social e anche se rimane parcheggiato per un’intera legislatura non succede proprio niente. O no?
Il sogno di Fugatti sta per diventare realtà. Perché in fondo, che lui sperasse di avere gli autonomisti dalla sua, l’ha sempre dichiarato. Così quando l’ala destra del Patt si è presentata al suo cospetto a chiedere poltrone in cambio di sostegno, il suo sì è stato molto facile da dire.
Meno facile invece è stato per la corrente oscura del PATT, convincere l’intera base autonomista a cambiare collocazione d’arco costituzionale dopo 25 anni di militanza e protagonismo nel centrosinistra autonomista. Per questo le “pillole indorate” della dirigenza di partito sono servite a poco. A smascherare fiumi di comunicati stampa pieni di fumo e ipocrisia, non ci sono soltanto l’evidenza e gli annunci dei “fratellisti”. Rumors romani, danno in queste ore, sempre più per certo l’accordo di Lega e Fdi anche a livello Trentino. Inglobando quel che resta del povero Patt. Perché a credere ancora alle rassicurazioni della dirigenza di partito, sono rimasti davvero in pochi. E il tatticismo temporale per tentare di sdoganare l’inaccettabile col metodo dei piccoli passi affiora sempre più.
Entro breve, gli autonomisti storici si troveranno alleati dei discendenti politici di Almirante. Con la benedizione del vecchio caro Durnwalder. Il quale, chiamato dalla stampa locale in evidente aiuto al Patt, è arrivato a sdoganare persino Fratelli d’Italia. Alla faccia del compianto collega Silvius Magnago.
Ci avrà provato contando sul fatto che tra le file di un partito di raccolta c’è di tutto. Ci sono dunque destroidi impenitenti, ex leghisti, conservatori e persino imprenditori che hanno tutto l’interesse a coltivare amicizie governative. Ma c’è anche l’ala sociale, quella sensibile agli argomenti legati alla solidarietà, quella lontana dallo statalismo e dal nazionalismo. Quella che non si piega all’offerta di poltrone, quella che non abbocca al racconto di un inverosimile progetto politico dove la lega lascerà FDI alla finestra vincendo col solo aiuto delle civiche e del PATT.
Questo trasformismo non fa per noi. In CasaAutonomia.eu ci sentiamo affezionati a quell’alveo ideologico che occupiamo da 25 anni. E abbiamo tutta l’intenzione di rimanerci evitando di farci trascinare dal pifferaio magico che è la destra nazionale.
Ecco perchè i fatti di queste ore, cioè quello che stanno combinando gli autonomisti storico identitari, spiegano molto bene il perché del nostro Movimento. Rendono palese il senso della creazione di una nuova lista civica autonomista. Avrà il pregio di essere l’unico schieramento popolare e progressita a rappresentare gli autonomisti in seno all’Alleanza democratica per l’Autonomia.
Non siamo in pochi e non siamo nemmeno i più contrariati. In queste ore ci sono dei tesserati che hanno deciso di bruciare la tessera di partito e postare l’orribile gesto sui social. Oppure hanno scelto la strada della dignità esprimendosi in un assordante silenzio
I “ve l’avevamo detto” ormai contano poco. Purtroppo la strada è tracciata e la romanizzazione del PATT è pressoché completa. Lega, Fratelli D’Italia, tutto il peggio che l’Autonomismo più genuino ha sempre combattuto ora fa parte indegna di quel che resta dell’orgoglio di uno splendido fiore alpino.
Di Michele Dallapiccola
Si dice delle imprese perse in partenza.
Il Congresso delle Stelle Alpine era terminato solo da poche settimane che già si avvertiva forte l’influenza destroide del duo da Campodenno.
Negava la segreteria: “mai con la lega!”, negavano i movimenti giovanile e femminile: “non è stato deciso nulla”, “sono tutte illazioni!”. Ma solo chi aveva il prosciutto sugli occhi non poteva non accorgersi che le proposte al Consiglio di partito erano poste in maniera retorica. Il tentativo di voler spacciare la convenienza di un posto al sole come impegno per l’autonomia era palese e sconquassato.
Per mesi cerchiamo di smascherare menzogne, tattica e strategie, tutte inventate per camuffare il viraggio a destra del partito: fatto, per molti di noi, inaccettabile. Decidiamo così di opporci alle manovre del maldestro tessitore da Quetta. Articoli sui giornali, discussioni dentro e fuori il partito: nessuna risposta.
L’impronta del fantasma è fortissima: è quello della vecchia UATT, che dal buio degli inferi dove era rimasta celata per anni sta tentando di fagocitare e lisare definitivamente qualsiasi frammento di DNA politico di PPTT ancora riconoscibile dentro al PATT.
Le proviamo tutte, col sostegno di tanti tesserati e simpatizzanti. Ad inizio autunno però accade l’inverosimile. Una sera, tardi tardi, dopocena, in un consiglio senza ordine del giorno, la dirigenza si fa autorizzare il matrimonio politico col partito di Grisenti: un manipolo di presuli della vecchia DC, sopravvissuti ai giorni nostri tra le fila della destra.
Per alcuni di noi è troppo. In ottobre molliamo la presa. Per me e per la collega Paola Demagri anzi, è quasi un dovere. Io poi, avevo annunciato ad ogni riunione precongressuale che se ci fosse stata un’alleanza con la lega io non ci sarei potuto stare. E così faccio. Ma non da solo, appunto. Insieme ad altri chiediamo la conta con una mozione in Consiglio di Partito: sinistra o destra? Si vota, 18 a 39: chiarissimo.
Come al ristorante, chiediamo il conto, paghiamo e rimaniamo dove siamo sempre stati. A finire tra le spire della destra e di Fugatti si lascerà andare e ci scivolerà quel che resta del nostro partito. E buonanotte al secchio.
A pesare è stata inoltre l’assenza di una segreteria che ha finito per accondiscendere la parte destra del partito, in tutto e per tutto.
Tutti quelli che non se la son sentita di abbracciare gli statalisti, i nazionalisti, tantissimi tra quelli che da sempre sono legati all’autonomia, sono coloro che hanno deciso di rimanere con noi. Siamo “quelli” di Casa Autonomia.eu, il Movimento che ha preso il posto del PATT nella coalizione dove questo era stato per venticinque lunghi anni. Dove gli autonomisti hanno avuto i migliori risultati di sempre.
E adesso, un bel piatto di lenticchie.
Sarà quello che d’ora in poi rimarrà ai seguaci del duo di Campodenno. Difficile immaginare qualcosa di diverso quando ad aggiungersi alla coalizione ci saranno anche i Fratelli d’Italia. E a quel punto l’obbrobrio partitico sarà completo.
Fortunatamente c’è una cosa non ancora definita: come andrà a finire la competizione elettorale tra le due coalizioni. E’ invece piuttosto facile da immaginare come andrà a finire per gli autonomisti storici. Difficile pensarli diversi da semplice stampella del duopolio lega – fratelli d’italia. Tra l’altro per ironia della sorte, proprio quello che un poco credibile segretario giurava e spergiurava non sarebbe stato mai.
E così, i due partitoni nazionali si circonderanno di una nuova serie di piccoli cespugli in mezzo ai quali i discendenti di Tretter saranno soltanto un di cui. Sono tante le persone che in queste ore avvertono il forte rammarico di aver visto dilapidare un patrimonio storico di ideologia e di impegno civico.
Il premio in cambio pare sia il rinnovo di un posto al MART.